lunedì 28 dicembre 2009

Gli incontri di una lumaca avventurosa

Ho scoperto che mia madre mi leggeva questa poesia quando ero piccolissima.
E, mi racconta, io ero affascinata dalla formica che muore per vedere le stelle...

Che infantile dolcezza
nel mattino quieto!
Gli alberi protendono
le loro braccia a terra.
Un soffio tremulo
ricopre le sementi,
e i ragni distendono
le loro strade di seta
-raggi sul cristallo
limpido dell’aria-
Nel viale una fonte recita
il suo canto tra le erbe.
E la lumaca, pacifico
borghese della strada,
ignorata nella sua umiltà,
ammira il paesaggio.
La divina quiete
della natura
le ha dato forza e fede,
e dimenticando le pene
della sua casa, volle
vedere dove porta il sentiero.
Cammina cammina, giunse così
in un bosco di edere
e di ortiche. In mezzo
c’erano due vecchie rane
che prendevano il sole,
annoiate e malate.
“Questi canti moderni”,
bofonchiava una di quelle,
“sono inutili”. “Tutti,
amica”, le ribatte
l’altra rana che era
ferita e quasi cieca.
“Quand’ero giovane credevo
che se mai Dio sentisse
il nostro canto, avrebbe
pietà. La mia scienza,
dal momento che sto al mondo da tanto
mi vieta di crederlo.
E ormai non canto più …”
Le due rane si lamentano,
chiedendo un’elemosina
a una ranocchietta
che presuntuosa passa
scostando l’erba.
La lumaca si ferma
davanti al cupo bosco.
Vuol gridare: Non può.
Le rane si avvicinano.
“E’ una farfalla?”
dice quella quasi cieca.
“Ha due cornette”
ribatte l’altra rana.
“E’ la lumaca. Lumaca
vieni da altre terre?”,
“Vengo da casa mia e voglio
tornarci quanto prima.”
“E’ un verme assai codardo”,
esclama la rana cieca.
“Non canti più?” “Non canto”,
dice la lumaca. “E non preghi?”
“Neanche: non ho mai imparato.”
“E non credi nella vita eterna?”
“E che cos’é?”
“Vivere sempre
nell’acqua più limpida,
vicino ad una terra ricca di fiori
che offrano pascoli magnifici.”
“Quand’ero piccola un giorno
la mia povera nonna mi disse
che dopo la morte sarei finita
sulle foglie più tenere
degli alberi più alti.”
“Era un’eretica tua nonna.
La verità é la nostra.
Dovrai credere a questa”,
dicono furiose le rane.
“Perché ho voluto vedere il sentiero?”
geme la lumaca. “Si, credo
per sempre a quella vita eterna che
mi predicate …”
Le rane,
tutte pensierose, se ne vanno,
e la lumaca, spaventata,
s’inoltra nella selva.
Le due rane mendicanti
restano come sfingi.
Una domanda:
“Ci credi alla vita eterna?”
“Io no”, dice triste triste
la rana ferita e cieca.
“E perché, allora, abbiamo detto
alla lumaca che deve credere?”
“Perché … Non so perché”,
dice la rana cieca.
“Ho un groppo alla gola
quando sento con quanta fede
i miei figli invocano
Dio là nel canale …”
La povera lumaca
torna indietro. Si diffonde
dal viale sul sentiero
un silenzio ondulato.
S’incontra con un gruppo
di formiche rosse.
Sono tutte eccitate
hanno un gran da fare
per trascinare una compagna
che ha le antenne rotte.
La lumaca esclama:
“Pazienza, formichette.
Perché maltrattate così
una vostra compagna?
Ditemi cos’ha fatto.
Giudicherò io in coscienza.
Raccontalo, tu, formichetta.”
La formica mezza morta
dice triste triste:
“Ho visto le stelle”
“Cosa son le stelle?”
dicono le formiche inquiete.
E la lumaca domanda
pensierosa: “Stelle?”
“Si”, ripete la formica,
“Ho visto le stelle,
son salita sull’albero
più alto del viale
e ho visto mille occhi
nelle tenebre.”
La lumaca domanda :
“Ma cosa son le stelle?”
“Sono luci che portiamo
sulla nostra testa”.
“Ma noi non le vediamo”,
commentan le formiche.
E la lumaca: ” La mia vista
non va più in là dell’erba.”
Agitando le antenne
le formiche esclamano:
“Ti ammazzeremo; sei
perversa e pigra.
La tua legge é il lavoro”.
“Ma io ho visto le stelle”;
dice la formica ferita.
Sentenzia la lumaca:
“Lasciate che se ne vada,
seguitate le vostre faccende.
D’altronde forse tra poco morirà”:
Nell’aria dolce
é volata un’ape.
La formica in agonia
avverte l’immensa sera
e dice: “Ecco chi viene
a portarmi su una stella”.
Le altre formichette
se ne vanno nel vederla morta.
La lumaca sospira
e stordita s’allontana
tutta confusa
circa l’eternità. “Il sentiero
non ha fine”, esclama.
“Forse di qui
si arriva alle stelle.
Ma questa gran pigrizia
mi impedirà di giungerci.
E’ bene non pensarci più”.
Ogni cosa appariva soffusa
di nebbia e sole pallido.
Campane in lontananza
invitano la gente in chiesa
e la lumaca, pacifico
borghese della strada,
stordita ed irrequieta
ammira il paesaggio.

Federico Garcia Lorca