sabato 23 giugno 2012

Macaia che intossica


Le due e quarantuno.
A letto da mezzanotte, mi sono arresa ed ho acceso la luce.
Eccomi qui.
Macaia che intossica.
Il ventilatore muove l'aria senza regalare refrigerio; in compenso, mentre mi rosolo nel letto pregando il cervello di darmi tregua, il rumore che fa è passato da leggero fruscio a fastidiosa bufera.
Ora è pale di elicottero e lo lancerei falla finestra. Che è chiusa, perché mi difenda dal frastuono di via Fillak, dalle sue ambulanze a sirene spiegate anche di notte, dal cicalino del passaggio pedonale ogni cinque minuti.

Non respiro.

Se almeno quest'affare che mi vive in testa producesse qualche spunto per l'Esperimento. Invece cosa fa?
CANTA.
Da quasi tre ore, canta. Tutta la mia scaletta di Blip. In religioso, perfetto, maniacale ordine. Da manicomio.


Ho provato a contare le pecore. Ho cominciato subito a chiedermi perché fossero tutte nere e ho perso il conto.


Ho riprovato coi colleghi. Ma sono bolsi, pesanti, affannati, ansanti, inciampano goffi sulla staccionata, la scavalcano senza grazia.


Fulmineo mi è passato tra le orecchie un bisogno: acqua fresca. Così l'inquilino ha smesso di cantare. Per iniziare a urlare: ACQUACQUACQUACQUA.

SENZA. SCAMPO.

Rassegnata, mi alzo, attraverso il soggiorno, raggiungo la cucina,  il frigo, l'acqua.
Calda.
Bisognerà abbassare la temperatura del frigo, dico.

Tornando verso la camera, quel babbeo di gatto piccolo si accorge di me, si allunga sul divano, apre mezzo occhio e mi fa un "Meh" adorante.
Penso a ieri mattina, quando ha vomitato a spruzzo sull'oblò della lavatrice APERTA e al desiderio violento di prenderlo e caricarlo sul primo treno per Vicenza.
Ma mi guarda, lui. E fa "Meh". Maledetto.



E intanto, sono le tre e trentatré.


domenica 17 giugno 2012

Doveva succedere. Prima o poi.


Le cinque e venti. Il cielo è già chiaro e darei qualunque cosa per una botta in testa. Resto sdraiata due ore col cervello in fermento. 




Poi, finalmente, la sveglia suona, mi alzo e fine della sofferenza.
Oggi si va in acqua col Primo Maestro. Sono contenta. Che il Primo Amore non si scorda mai.
E si parte dalla Foce. Di nuovo, sono contenta. Che quando le giornate sono perfette, come oggi, più sto in mare meglio è.
Il mare è piatto e blu. L’orizzonte si staglia netto e io sorrido così fissa che se fossi in moto avrei i denti pieni di moscerini.
“Omonero, guarda! In acqua è pieno di galline!”
“Non sono galline.”


Arriviamo al punto di ormeggio: Cristo degli Abissi. Evabbè. Ma questa volta, ci spiega Primo Maestro durante il briefing, entriamo nella grotta.
Nella grotta? E io, che nella vita terricola sono allergica ad ogni regola ma in acqua divento ligia, diligente, rigorosa (cacasotto?), mi domando: ma ci possiamo andare, noi, nella grotta?
Decido che mi fido.
Mentre ci vestiamo, l’Omonero:
“Guarda! Sulla parete c’è una capra!”
“Ma piant… uh cazzo: è vero!” 
Se ne sta lì, immobile, sulla parete perfettamente verticale. Mi viene da chiedermi se abbia le ventose sotto gli zoccoli.

Tredueuno giù!
Oh, finalmente non c’è nebbia.

Nella grotta si entra due alla volta. Io e l’Omonero abbiamo l’onore di entrare per primi. Scivolo dentro, la torcia stretta nella destra. Mi raddrizzo, resto ferma a guardarmi intorno. Rompo le palle a qualche pescetto, ma non c’è molto da vedere. Però è la mia prima grotta. E qui, sospesa nel gorgoglio del mio respiro, mi sento in pace.



Ma è il turno di quelli dopo, bisogna uscire. Uff. Appena fuori, ci sorprende lo spettacolo di una bellissima medusa. Spose di mare, si chiamano in farsi. Che meraviglia poter osservare la loro danza senza fuggire terrorizzati.
Proseguiamo lungo la parete. Un pescione rilascia una nube lattiginosa. Ma che fa? Poi ce lo chiedo agli amichetti del forum. Anzi forse è meglio di no.


Esploriamo meticolosi, ficcando il naso e le torce nei pertugi e troviamo:

  • ricci con i capelli lunghi e ricci brizzolati;
  • corallo rosso;
  • un’aragostina neonata;
  • stelle intere e stelle monche;
  • due nudibranchi blu che… ups!

Faccio all’Omonero il tipico segnale subacqueo che significa “questi trombano!”
Lui risponde “Eh!”
Togliamo il disturbo.
Dietro front tra nuvole di castagnole piccole, ma non più blu, salpe e saraghi.
Un saluto al Cristo faccia a faccia, si risale.
In sosta sono un po’ a disagio.
Mi arrampico sul gommone, mi libero di ogni zavorra e impiccio e mi siedo. Caldo maiale.
In più…Mmm.
“Ci siamo tutti?” urla il barcarolo.
“No, ne manca uno.
“E dov’è?”
“Dieci minuti di deco”.
Non dico niente. Semplicemente, faccio due conti.
Dieci minuti. Più cinquanta di navigazione.
Non se ne parla.
Mi alzo. Senza esitazione, mi lancio in acqua e...
E sì, ‘fanculo!
Ho fatto pipì nella muta!









sabato 9 giugno 2012

Reality Show


Piazza Gustavo Modena. Stasera, spettacolo di Danza Orientale. 
Siamo in deciso, studiato anticipo: vogliamo buttar giù un colpo prima di entrare.  
Davanti al solito Sbagliato, cazzeggio su Twitter. Sì, lo so, che orrore. Ma quando esco da Nuovo Recinto resto in fase autistica per un po’.
Leggo: “Un romanziere è anche sempre un copista della vita. Claudio Magris”.
Porto sempre con me il quadernetto azzurro delle idee improvvise. 
Penso: ora provo a copiare un pezzo di vita. 
Inizio a registrare.

Ometto immediatamente davanti a me. Una spanna più basso. La folta chioma salepepe è perfettamente pettinata. Di fronte. Dietro, è evidente l’impronta del cuscino: sonnellino pomeridiano? Indossa una camicia bianca semitrasparente, coi laccetti al collo, e un profumo nauseabondo. I jeans scoloriti sono lunghi, molto lunghi, e gli si affagottano alle caviglie. Sotto il fagotto, spunta impertinente un paio di stivali da cowboy. Ah, ecco: c’ha pure i tacchi.

La gente si accalca all’ingresso del Teatro (ma perché?), finalmente si entra. La fanciulla che distribuisce il programma, magrolina e con l’apparecchio ai denti, viene assalita. La sento frignare: “morirò!” “Per così poco”, le rispondo. Ma, forse, ha ragione lei.

Due vecchiette troppo vestite e con fortissimo accento genovese: “Ma dimmi tu se alla nostra età dobbiamo andare a vedere la danza del ventre!” 
Mi chiedo chi le avrà obbligate.

Un Signor Bonaventura invecchiato e paranoico abbandona in poltrona il figlio di circa tre anni – Fa’ il bravo qui, Michele – per andare a chiedere informazioni  alla maschera. Torna. Io sto scrivendo. Farfugliando qualcosa di incomprensibile, letteralmente mi sfila la penna dalle mani, prende un appunto sul biglietto d’ingresso, rinfila la penna tra le mie dita che, causa stupore, erano rimaste nella stessa posizione.

L’aria condizionata mi congela il coppino. Vorrei lo scialletto delle vecchiette.

Un bambino mancino disegna dinosauri. Bellissimi.
Il nonno si accorge che lo guardo.
“Sa, disegna con la sinistra per non sbalordire!”

E, mentre Michele canta  Com'è bello far l'amore da Trieste in Giù, calano le luci.

Sipario.



lunedì 4 giugno 2012

HAL


Guai a voi anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’vegno per menarvi a ne l’altra riva
le tenebre eterne…


In anticipo davanti allo Yacht Club. In anticipo come tutte le volte che sono in ansia, come tutte le volte che affronto una situazione nuova, come tutte le volte che non conosco i luoghi; in anticipo, così da avere tempo per ambientarmi e fare le cose con calma, respirando piano.
La barca è ormeggiata, il nostro Caronte dorme: è davvero presto.
Alla spicciolata arrivano gli altri, quattro chiacchiere (loro, io sono zitta come non mai) e, abbandonate le scarpe sul molo, saliamo a bordo.
Lasciamo il porto e la città  accende le luci.


Il mare è un po’ incazzato, si balla durante il briefing. Quando arriviamo a Capo Santa Chiara non c’è più luce: il sole è tramontato e nuvoloni spessi nascondono la luna. Dalle case dei ricchi si leva un grido. Uno stronzo di meno, penso.




Uno dopo l'altro, i miei compagni d'avventura saltano in acqua e spariscono nella notte. 

È il mio turno. L’attrezzatura pesa, sono in bilico a poppa, le onde mi tolgono la barca da sotto i piedi, me la sto facendo sotto; ho la torcia, la torcia di backup, la lucetta chimica gialla sulla bombola (jingle bells).
NinjaGabri mi urla: “Buttati Vale! Decisa!” 
Non la vedo. Non vedo niente.
Mano sulla maschera, l’altra dove capita, vado: passo del gigante, mi tuffo, riemergo.
Mi seguono Eroe e l’Omonero.
Qualcuno grida: “Polmoni di mare!”
Voglio vedere anch'io. Faccio per mettere giù la faccia quando un’onda mi ricopre: bevo, tossisco, sputazzo. Mi innervosisco.
Raggiungiamo la prua, ci scambiamo segnali, si scende. Sono tesissima, il respiro è affannoso, il mare è agitato, non riesco a fermarmi,  non riesco a rilassarmi. 
Ho paura, cazzo.
Eroe mi prende per un braccio, mi guarda negli occhi (il potere ipnotico dello sguardo, in acqua, è  s t u p e f a c e n t e) e un nodo si scioglie; Eroe mi porta giù.

Volo nell’aria liquida della notte più buia della mia vita.

La discesa è breve, il fondale è a 12 metri e… ma che posto è questo? Sto sorvolando un pianeta sconosciuto, niente di ciò che vedo assomiglia a ciò che ho visto finora: uno stradone di sabbia bianchissima, rocce ricoperte di alghe rosse, spugne giallo limone, ombrellini di mare verdolini, conchiglie variopinte. 
Realizzo: non c’è il blu! Non c'è il blu ad uniformare tutto! Per la prima volta, vedo gli abitanti del mare con i loro colori.

Procediamo lentissimi, attenti a non perdere nessun dettaglio; c’è la festa degli scorfani, ce ne saranno mille. E pescetti addormentati, palesemente infastiditi dalle luci, e strani vermi a due culi, e stelle marine di ogni dimensione (anche una zoppa), ricci, triglie baffute…

Sono in pace, la paura è svanita e voglio sperimentare il buio. Non oso spegnere la torcia, semplicemente la giro verso di me e l’appoggio sul petto; individuo le luci degli altri, poi guardo dove non c’è nessuno.
Per un attimo, sono nello spazio. E quest’emozione, davvero,  la so raccontare solo così…


sabato 2 giugno 2012

Tesori (ri)scoperti


Ancora mezzo rincoglionita, vago tra le mensole alla ricerca di Neverwhere di Neil Gaiman: mi serve per l’Esperimento.
L’immersione notturna di ieri è stata magnifica, ma devastante. Mi stanca sempre molto andar sott'acqua, a dire il vero: sarà il trasporto dell’attrezzatura avanti e indietro, la fatica che il corpo fa a smaltire l’azoto; sarà che sono una chiavica. Sta di fatto che sono fisicamente un ravatto e che oggi, di uscire, non se ne parla proprio. Piove pure. Dovrei scrivere il report del tuffo, ma non mi sento ispirata, rimando a domani.
Così l’Esperimento torna ad occupare ogni mio pensiero e, dicevo, mi metto a caccia di Neverwhere. Ovviamente, non lo trovo. Epperò.
La mia pessima memoria, la mia tendenza maniacale e compulsiva all’acquisto di libri che non sempre faccio in tempo a leggere e il mio disordine da barzelletta sono condizione fondamentale per la (ri)scoperta di tesori preziosissimi sepolti o dimenticati.
Il primo tesoro è Stranalandia di Benni, con tanto di dedica - proposta matrimoniale di quel pazzo di Nino Dangerous. Ci conoscevamo da un quarto d’ora, ma tanto gli bastava per chiedermi in sposa. Per mia (e sua) fortuna, non l'ho mai preso sul serio.



Il secondo tesoro è Artemis Fowl in versione graphic novel.



Ma quando cazzo l’ho comprato? E soprattutto: come ho fatto a dimenticarmene?

Il terzo, ultimo ma non ultimo, è Poppis e Pors. Quando l’ho visto, schiacciato tra Abarat e Il Cannocchiale d’ambra, il cuore ha fatto un balzo: ero convinta di non averlo più, di aver regalato anche l’ultima copia, quella che avevo tenuto per me. È fuori catalogo, mi ero rassegnata. Invece eccolo lì.



L’Esperimento, oggi, non ha fatto neanche un passo avanti. Ma io ho passato un pomeriggio meraviglioso tra Cockeruth e Topo Cagone, Artemis e Bombarda Sterro, Porsacchiotz  e Iuzzazza.