venerdì 28 marzo 2014

Trilogia della città di K

Agota Kristof
TRILOGIA DELLA CITTÀ DI K.
Il grande quaderno
La prova
La terza menzogna
Einaudi













Trilogia della città di K è un romanzo, ma sono tre: Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna.
Comincia che ci sono due gemelli e una madre. C’è la guerra, e anche se non si nomina mai un luogo, un esercito, un paese, sappiamo di essere in Ungheria durante la seconda guerra mondiale. 
La Madre molla i Gemelli - che si chiamano Claus e Lucas, ma lo scopriremo dopo - dalla sua, di madre; anche se la odia, anche se tutto vorrebbe meno che lasciarli lì. Ma c’è la guerra, e questa è la guerra.

I Gemelli sono così gemelli che parlano e si muovono come fossero uno. Sono loro a raccontare, in prima persona (plurale), della vita a casa della Nonna zozza, della vita nel paese senza nome; la voce è la loro, che ogni giorno scrivono su un quaderno (il Grande Quaderno) tutto ciò che accade.

La mattina, prima dell’alba, vediamo Nonna uscire di casa. (...) Se ne va al mercato, spingendo la carriola; la cinghia, passata attorno al suo collo secco, le fa abbassare la testa. Barcolla sotto il peso. Le gobbe e le pietre del sentiero le fanno perdere l’equilibrio, ma lei cammina con i piedi all’indentro come le anatre. Cammina verso la città fino al mercato, senza fermarsi, senza aver posato la carriola una volta sola.

E ciò che accade è estremo, grottesco, irreale.
I Gemelli, gemelli, si insultano e si picchiano e si impongono il digiuno, per imparare a sopportare tutto.
La Nonna, strega, è vedova perché ha avvelenato il marito. O così dicono in paese.
La Vicina, cieca, passa le giornate immobile su uno sgabello in giardino, finché sua figlia non la riporta in casa.
La Figlia della vicina, LabbroLeporino, succhia le mammelle delle capre (per il latte) e il sesso di chiunque capiti (per una carezza).
La Nonna (ancora lei) coltiva e alleva e si vende tutto quanto al mercato, pure i vestiti che la Madre manda ai Gemelli.
I Gemelli (ancora loro), ora abituati a subire, si addestrano a rubare, a ricattare, a fare male, a uccidere.
Irreale? È la guerra. È la guerra che non dovrebbe essere reale.

I Gemelli si separano: uno supera il confine, l’altro resta. Inizia La Prova, e Lucas è solo.
La storia si racconta in terza persona e si complica anziché chiarirsi, si annoda. Mentre seguiamo Lucas nella sua vita da adulto nell'Ungheria comunista, riscriviamo quella dei Gemelli, appena finita e ancora lì, in testa. I Gemelli non erano gemelli, non c'erano gemelli, e Lucas è schizofrenico (o almeno lo era), e tutte le storie atroci del Grande Quaderno erano frutto della fantasia distorta di un bambino disturbato. E per un attimo provi sollievo,  tu che leggi, tu che a quelle cose terribili della guerra non volevi crederci.
Ma arriva una nuova ondata d’orrore e di scheletri nell’armadio (ci sono davvero) e, soprattutto, arriva La Terza Menzogna.

Tutto è riscritto, di nuovo. 
In prima persona (singolare).
Parla Claus (che ora è Klaus).
Lucas non c’è.
Lucas torna!
Dunque ci sono due fratelli!
Ma no, no.
Klaus e Lucas non sono fratelli, figuriamoci gemelli.

Alla fine resta la guerra, così mostruosa che non ci puoi (vuoi) credere. E resti tu, tu che leggi, tu che ti chiedi, fino all’ultima pagina e ancora dopo, quale delle storie sia vera.

Nessuna lo è.
Tutte lo sono.

P.S.
Per chi, come me, lecca la farina: la Kristof dissemina i romanzi di consigli per noi poveretti.

Le parole che definiscono i sentimenti sono molto vaghe, è meglio evitare il loro impiego e attenersi alla descrizione degli oggetti, degli esseri umani e di se stessi, vale a dire alla descrizione fedele dei fatti.

(...) cerco di  scrivere delle storie vere, ma, a un certo punto, la storia diventa insopportabile proprio per la sua verità e allora sono costretto a cambiarla.

E quando avrai troppa pena, troppo dolore, e se non ne vuoi parlare con nessuno, scrivi. Ti aiuterà.

E a chi, come me, dopo aver letto la trilogia fosse preso dallo sconforto e dalla vergogna di avere anche solo pensato di poter scrivere, dedico questo passaggio:

Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza mai passare traccia.

Agota Kristof in questa foto è bellissima e assomiglia (ma solo un po') alla mia mamma.





mercoledì 5 marzo 2014

Torre di Babele

Le nostre sono vite complicate.
Da sempre.
Da quando, bambini, nostra madre ci chiamava (È pronto! strillava) ma noi, persi dietro il canedrago della Storia Infinita, col cacchio che la sentivamo; quando andavamo a tavola, dopo chissà quanto, nostro fratello zio cugino s’era pappato i pezzi migliori e a noi toccava sempre il petto di pollo. 
Insipido. 
Stopposo. 
E lo masticavamo ore, conservandolo nelle guance, aspettando il momento buono per sputarlo nel cesso.

Siamo cresciuti bianchicci. Mollicci. Miopi. 
Che mentre voi arrostivate al sole i corpi gnucchi, allenati da beach volley e windsurf, noi andavamo a caccia d’ombra e silenzio, dietro le cabine, sotto gli ombrelloni (a mezzogiorno può essere davvero dura) perché l’unica cosa che contava era sapere cosa sarebbe successo a Jack Sawyer (sì, Jack. Non Tom. Jack.).

Abbiamo vissuto e viviamo le vite degli altri più che le nostre.

Di notte, se tendete l’orecchio, sentirete gemere i muri delle nostre case. Si lagnano. Per tutto il peso che sono obbligati a portare, per tutti i buchi di trapano che hanno dovuto subire.

I nostri comodini sono schiacciati da piramidi che sfiorano il cielo come torri di Babele: ci sono quelli finiti, che potresti pure rimetterli a posto, ma li vuoi tenere vicino ancora un po’, ancora un altro po'; ci sono quelli da iniziare; e ci sono quelli lasciati a metà, ai quali prima o poi potresti voler dare un’altra possibilità.

Quando partiamo per le vacanze, le nostre valigie sono molto, molto, MOLTO più pesanti delle vostre. E spiegaglielo, alla tipa scassacazzi di Ryanair, che per noi è VITALE girare con tutto quel peso. Prova a dirglielo, a lei e alla sua gabbietta da valigia nana, prova. Io una volta ne ho quasi uccisa una, di quelle tizie lì.

Quando camminiamo per strada, ci capita che una forza invisibile misteriosa sovrumana ci obblighi a rallentare il passo. Cambiare rotta. Andare dritti dritti dritti fino lì. Fino al paradiso, che ci chiama, che ci rapisce per ore nei suoi gironi (non avevamo detto Paradiso?) e quando ci sputa fuori, liberi di tornare sui nostri passi, siamo così carichi che il gemito delle pareti di casa si sente a enormi distanze.

Sappiamo che per voi è inspiegabile: c’è la torre di Babele sul comodino, le pareti gementi, le valigie ancora piene dall'ultimo viaggio. Che motivo c’è di caricarsi così ancora, e ogni volta?
Eppure, quando andate a fare la spesa voi fate uguale. Mica andate alla Coop solo quando il frigo è vuoto e non c’è più neppure un biscotto una galletta un petto di pollo (puh!) in tutta la dispensa, no? E quando siete lì, davanti a ogni tipo di bontà, comprate solo ciò che serve per il pranzo? O riempite i carrelli con quello che avete voglia di mangiare ora più quello che potreste avere voglia di mangiare domani, ma metti poi che invece mi va di più la pizza ai peperoni? Fate cosi, eh? Visto?
Per noi è uguale. No, per noi è peggio: non potete saperlo, ma noi, ogni volta che un canedrago vola via, ogni volta che un Jack Sawyer se ne va, soffriamo. Ci sentiamo abbandonati, sperimentiamo una specie di piccola morte, e quel dolore lì si stempera in un modo solo, con una domanda sola: 

e adesso cosa leggo?

A questo servono la torre di Babele, i muri gementi, le valigie piene, i sacchetti carichi di libri nuovi, di storie nuove. 

Le nostre sono vite complicate.
Siamo bianchicci mollicci miopi.
I nostri muri gemono, le nostre valigie esplodono.
Mangiamo petto di pollo puh.
Moriamo una volta alla settimana. A volte anche due.

Lasciateci la soddisfazione
misera
ridicola
puerile
di essere
schifosamente
SNOB.