giovedì 1 agosto 2013

Trentunluglio

Compiere gli anni il 31 di luglio può essere una schifezza. La scuola è finita, gli amichetti sono in vacanza, alla tua festa di compleanno non viene un cane. E rimani lì, con tuo fratello annoiato e la torta che resta intera, finché ti arrendi all'evidenza e, se non altro, ti strafoghi di Saint Honoré.

Mi sono portata dietro questa tristezza per tutta la vita, e sono anni che mi organizzo per essere, quel giorno, in una qualche parte fighissima del mondo per non dover ripetere mai più l'esperienza di un compleanno solitario. L’anno scorso ero a Lanzarote, due anni fa in Grecia, prima ancora in Sardegna; una volta addirittura a Boston, al concerto dei Depeche Mode. Lontano da qui, lontano dalla tristezza di una festa vuota.

Quest’anno succede che le vacanze si fanno a Settembre.
Quest’anno succede che il giorno del mio compleanno sono qui.
Come sempre, io lavoro di giorno, l’Omonero di sera. 
Eh no, cazzo. Non di nuovo.

Qualche tempo fa.
Siamo in macchina che sfrecciamo verso Sturla mentre Blixa canta a tutto volume che le gambe gli fanno giacomo giacomo




Grido nell'orecchio dell’Omonero.
“Ehi, ho pensato di prendermi il pomeriggio libero, il 31. Potremmo organizzare un tuffo.” 
Lui fa questa faccia:



“Che c’è? Non ti piace l’idea?”
“Mi sono preso ferie il 31. Volevo portarti fuori a cena. Così mi hai rovinato la sorpresa.”
Ups. 

Così, ieri. 
Lavoro solo di mattina e lavoro pure male, che la mia testa è già altrove, e quando esco da Nuovo Recinto saluto tutti con aria paracula.
Io e l’Omonero ingolliamo veloci una barretta dietetica mentre la mia macchinina, carica di attrezzatura che quasi scoppia, ci porta a Nervi dove ci aspetta lui, più bello che mai: riccioluto biondo abbronzato, sigarillo e sorrisetto. Sì, proprio lui: Zac.

Il diving è tutto per noi ed è una gioia poter sparpadellare la roba ovunque: gli scaffali sono tutti vuoti, le panche sono tutte vuote, i pavimenti sono tutti asciutti. 
Con tutta calma, tra un canestrello,  un bicchiere di chinotto e molte cazzate, carichiamo sul furgone le bombole e i gav e le pinne e le maschere e le torce e gli erogat... No, gli erogatori no! Il mio erogatore, io, me lo porto in braccio. Il mio tesssssoro!

Infilo la muta nuova come fosse un pigiama, e già questo basterebbe a farmi godere per l'intera giornata, ma i piaceri in serbo per noi (per me, che sono la festeggiata!) sono ancora tanti.

In sei su un gommone da venti, mare piatto e cielo pulito, siamo svaccati allegri e beati (io mi sento come l'unica volta in vita mia che ho bigiato), e non facciamo caso a un’onda bizzarra che ci corre incontro. 

Tre.

“Che spettacolo ragazzi!”

Due.

“Giornata perfetta! Che ne dite di andare alla Gonzatti?”

Uno.

Cambia il rumore.
Il gommone vola.
Io, forse troppo rilassata, non mi stavo tenendo.
Volo pure io.
Ricado, rimbalzo, parto come un proiettile e atterro dal lato opposto del gommone, in braccio a un tizio che non è l’Omonero. 










“Oddio scusa!” gli dico, mentre mi arrampico sulle sue cosce.
“Non mi è dispiaciuto mica,” fa lui, furbacchione. L’Omonero ride, ma è un modo come un altro per mostrare i denti. 

Ripartiamo, più cauti, coi gabbiani che ci svolazzano attorno tipo avvoltoi, e arriviamo alla boa. Non c’è nessun altro ormeggiato: la secca è tutta per noi. 
Gav in spalla, erogatore tra i denti, maschera sugli occhi, capriola, tutti in acqua.
“Ok?”
“Ok. Ci vediamo giù.”
Scarico e scendo come un sasso: col cambio di muta ho tolto un chilo dalla cintura, ma a quanto pare non è bastato. Gonfio subito un pochino il gav e trattengo il fiato, da non fare la figura di quella che precipita sul fondo, e resto appesa neutra in mezzo a un mare di mucillagine. 
Ohibò.
Scendiamo ancora e la situazione peggiora: a trenta metri le gorgonie sono soffocate da una coperta pelosa e lo scenario è tetro, paludoso. Pare d’essere in Louisiana.



Zac legge lo sconforto nei miei occhi, allunga una mano, acchiappa un ciuffo di mucillagine da un ramo di gorgonia e ci si fa un paio di baffoni. Sembra il figlio di Cupido e Stalin e io mi ribalto dal ridere. E ridere sott’acqua è una delle cose che più amo al mondo, perché la risata, trasformata in centomila bolle, si vede. 

Una murena infastidita dal casino sbuca dalla tana e ci grida di tutto. Vorrebbe farci paura, ma con quei tubicilli ridicoli che le escono dal naso non è credibile nel ruolo di cattiva.



Proseguiamo e, appena aggirata una sporgenza nella parete di gorgonie, un banco dorato di decine di salpe scende in picchiata, in formazione come astronavi pronte alla battaglia, e si precipita sulla distesa densa di mucillagine. 



E siamo lì a osservare le salpe e il loro brucare famelico che d’un tratto si fa buio. Alziamo le capocce e non crediamo a quello che stiamo vedendo: una sfera metallica colossale rotea velocissima su se stessa, oscurando il sole. 




Gira, gira e si avvicina, gira, poi si apre come un fiore, come un fuoco d’artificio, e si avvita, cambia forma, si ricompatta; il mare tutt’intorno frigge e noi non sappiamo dove guardare: la palla di alici, i dentici che arrivano dal blu, le cernie ciccione labbrone, il fiume giallo di salpe, le castagnole scure, le castagnole blu, stelle marine ovunque, che roba, vaccaboia, mai vista la Gonzatti così! Sembra una battaglia spaziale, sembra quasi di sentire le esplosioni!




Migliaia di pesci corrono tutt’intorno, la palla d’argento si avvicina e sputa fuori un siluro: un barracuda! Uno solo, tutto soletto, che strano. Mi guarda, lo guardo. Avanza. Occhi negli occhi, sale di quota, salgo di quota. Non riesco a staccare lo sguardo, lo seguo ipnotizzata, lo seguo finché sento che qualcosa mi trattiene: ma che cazz… 
È l’Omonero, che m’ha acchiappato per una pinna e mi sta dicendo,  con eloquente gesto partenopeo, ma dove minchia vai? E dove minchia vado? Non lo so dove vado, seguivo il barracuda io!



Scendi, fa lui col pollicione.
E va bene, scendo.

Giriamo intorno alla secca, risalendo lentamente, a spirale, mentre la battaglia interstellare non dà segno di volersi interrompere. Io non faccio che squittire di gioia, e in sosta ballo il twist. Sono l’ultima a tirare fuori la capoccia dall’acqua e per la prima volta, io che in acqua sono la più ligia, mentre arranco sulla scaletta penso che quei cinquanta bar rimasti nella bombola siano uno spreco.

La barretta ingurgitata a pranzo è evaporata da un po’ e lo stomaco brontola mentre sorseggiamo spumante e risciacquiamo l'attrezzatura al diving.
“Che fame mi è venuta!”
“Bene! Perché ci sono quintali di salsicce e bistecche pronte da grigliare a casa mia! Io vado a riportare il gommone in porto, voi andate e cominciate a preparare.”

Zac lancia all’Omonero le chiavi di casa sua. Il divertimento è appena cominciato mentre io credo di aver cambiato idea su come sia compiere gli anni a casa il 31 di luglio.







1 commento:

claudio di manao ha detto...


E' un fatto esclusivamente italico la fuga d'agosto, il panico dell'ottavo mese in città. Per me da sempre non ha fatto alcuna differenza lavorare a natale o ad agosto, o il giorno del mio compleanno, me n'è sempre importata meno di una cippa o giù di lì. Peggio non saper cosa fare, il giorno di Natale da solo, o il girono del tuo compleanno da solo. A volte la scorza che hai addosso ti ricorda che sei umano, e che forse vorresti...
Non farti fottere.
E' colpa loro, colpa di tutti quelli che scappano come sorci in panico, di quelli che accettano che ad agosto si fermi tutto.
Il resto del mondo non è così.
Questo è uno dei tanti, tantissimi motivi, che mi fanno vivere bene il resto del mondo.

auguri
sana elwa yagami