sabato 14 luglio 2012

No Expectations


Schizzechea. Cioè piove piccolo piccolo. In napoletano. 
È il quattordici di luglio, è sabato e dovrei esserne infastidita. Dovrei avere voglia di andare al mare, a leggere su uno scoglio, a stanare nudibranchi, a sperare di incontrare un Mola Mola.



Invece sono contenta, seduta sul divano, gobba sul tavolino dell’Ikea col mio netbook puzzolente di nuovo, sintonizzata su RadioTito, e con quel santo dell’Omonero in cucina che mi prepara il caffè. Lascerò il mio autismo per pochissimo, giusto il tempo di ringraziare. Permetterò alla tazzina di entrare nella mia bolla per poi richiuderla subito dopo. 

Sono felice, qui dentro. 

Durante la settimana mi sveglio eccitata, impaziente che la giornata a Nuovo Recinto finisca per tornare qui.  

(Digressione. Ieri Attilio, caro amico che non vedevo da mesi, mi ha chiesto: "Come va a Nuovo Recinto?” Il mio Superpotere di ribattezzare persone e cose è sempre forte. Ne sono molto felice. La mia amica Puddu lo è meno: sono dieci anni che si ritrova costretta a spiegare che si chiama Mara, che non è sarda e che Puddu non è il suo cognome, ma un soprannome affibbiatole senza nessun motivo da quella cogliona della Vale.) 

La prima parte dell’Esperimento è conclusa. La prima stesura, almeno. Ora è qualche giorno che cincischio: rileggo, correggo, cerco musica nuova, scelgo qualche brano, cambio idea. E la seconda parte non nasce. 

Mi dico: ovvio, iniziare è difficile sempre, la pagina bianca è aggressiva, spaventosa. 

Ma non è vero. Il fatto è che ho paura. Paura che tutto questo finisca. Paura di tornare in letargo. 

In genere, l’Esperimento mi sembra banale, puerile, mi vergogno tanto che resistere alla tentazione di buttare via tutto mi costa uno sforzo niente male. Ci riesco solo ripetendomi che mi sto divertendo da morire e vale la pena andare avanti, fosse anche solo per come mi fa sentire. Anche tenere diverse copie dei file nel computer di casa, nel computer in ufficio, nel netbook, nella chiavetta, mi salva dal raptus distruttivo.  

Le rare volte in cui invece mi capita di pensare che non fa poi così schifo, che, una volta arrivata in fondo, potrei anche decidere di farne qualcosa di più che carta da culo, mi prende una gioia tale che dimentico di mangiare, sigillo la bolla, indago musica ed inanello parole, piano, una dopo l’altra.

Succede di scrivere senza rendermi conto, in una specie di trance da cui mi sveglio solo alla fine. Tanto che rileggere è in realtà leggere. 

Ma è quando sconfiggo la pagina bianca che godo di più. La fatica di trovare come dire, come raccontare il delirio che ho in testa, quando dopo un’ora non ho ottenuto che una frase triste e allora tolgo tutto, avverbi, aggettivi, lasciando solo soggetto-verbo-complemento così, nudi. È in quel momento che la storia si risveglia. E la pagina bianca perde.
Ecco. Ho paura che, quando l’Esperimento sarà concluso, perderò questo piacere. Che non mi verrà nessuna idea, buona o brutta che sia, a tenermi sveglia la notte, a farmi controllare di avere sempre un quaderno in borsa, a chiedermi di esplorare terre nuove, ad obbligarmi a fotografare in giro storie che poi vorrò raccontare.


A dare un perché a questa cazzo di vita triste.


1 commento:

Peek-a-booK! ha detto...

No vita triste, noooooo!
Qui ti si vuole un gran bene, ricordalo sempre! :*

E, anche per questo, ti ho premiato con un piccolo award, se ti fa piacere trovi il mio articoletto in merito qui :)

http://www.peekabook.it/2012/07/liebster-blog-award.html