lunedì 15 ottobre 2012

L'ultimo ponte



Fino a ieri
Ci giravo intorno da un po'. Mancava un pezzo, un ultimo collegamento tra la storia solida e quella liquida.
Ho anche provato con un trucco bieco: a spasso con l'Omonero, così dal nulla, gli ho gridato: "Arancione!", sperando nella potere magico delle libere associazioni.
"Verde!" ha risposto lui.
"E perché verde? A cosa pensavi?" chiedo io, subdola, pronta a raccogliere un pezzo di storia da usare per i miei loschi piani.


"Pensavo a un ghiacciolo col doppio stecco che mangiavo da piccolo. Arancione e verde. C'era pure il cioccolato."
Bbono. Ma che me ne faccio?



Prima.
Quando tutto questo è iniziato, sei mesi fa, nella mia mente bacata lampeggiava solo il traguardo. 
Sapevo di dover arrivare lì. 
Come arrivarci, era ancora tutto da decidere, inventare, costruire.
Ho frugato nella mia storia e in quella di chi mi sta vicino.
Ho copiato dalla vita, ho inventato vite.
Ho disegnato strade. 
Storie vere e storie finte, storie belle e storie brutte.
Di giorno, nella vita solida, progettavo ponti di calcestruzzo e acciaio. 
Di notte, nella vita liquida, costruivo ponti di luci e ombre.
Ne mancava uno e non lo trovavo.
E fruga e cerca e tira e molla.
Niente.
Rumore bianco.
E notti col letto di chiodi.

Oggi
"Hai sentito che temporale?" chiede l'Omonero.
"Io? No, ho dormito come un sasso."
Non mi capitava da parecchio. 

Pausa pranzo alla scrivania. Mastico una barretta di compensato e cazzeggio pigra sul forum dei poverisubbi. La mente è sgombra.

Dal nulla, eccolo lì. L'ultimo ponte è davanti ai miei occhi.
Mi formicolano le mani e i piedi. L'insofferenza per Nuovo Recinto sfrigola. 
Restare qui è una tortura. 
La mia prigione è più piccola che mai.



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