Ho
da fare un paio di cose prima di uscire. Lo vedo che il cielo bigio non
promette un cazzo di buono, che sarebbe più furbo uscire subito, ma conosco la
mia pigrizia e so che rimandare significherebbe non fare.
E
mi sento brava, a posto con la coscienza, quando, due ore dopo, poso la penna e il mouse,
felice di aver postato anche sul blog la storia della scimmia di Tiran (per gli
amici non subacquei che non leggono Scubaportal, ma che si divertono con le mie avventure da
abissonauta pasticciona), e di aver finalmente tirato giù lo schema dei
capitoli per la seconda stesura del romanzo.
Ovviamente,
piove.
Ma
io devo proprio uscire: tra pochi giorni sarà il compleanno dell’Omonero e,
anche se sono anni che non ci regaliamo più niente preferendo, a ogni
ricorrenza, nutrire il porcellino Salvavacanza per poi andarci a godere i
soldini da qualche parte nel mondo, un pensierino, una cazzata, un pacchettino
simbolico non riesco a non farglielo trovare sul comodino.
A
modo mio, sono romantica.
È
domenica, mi tocca il centro commerciale. Io odio i centri commerciali, odio il
brusio che c’è sempre, il disagio indotto dagli spazi pensati male (o forse
benissimo) che ti disorientano e ti rincoglioniscono, così che quando esci non
hai comprato una minchia di quello che ti serviva, ma un assortimento di
mutande di pizzo che non metterai mai e un set di pentole antiaderenti
estremamente utili per una che non cucina manco un uovo.
Quando arrivi a casa,
guardi le cose acquistate come se le vedessi per la prima volta, e se qualcuno
ti chiede perché hai comprato venticinque mutande tu dici, poco convinta:
“Erano in offerta.”
Ma
stavolta so cosa voglio, devo solo entrare in un preciso negozio (non faccio la
vaga, ma se scrivo quale negozio poi l’Omonero sgama il regalo!), comprare una
precisa cosa e uscire.
“Ce
la posso fare.”
Trovare
parcheggio tra le auto posteggiate a castello è un incubo, Genova tutta è qui. Ho capito che piove, ma…
Decido
di non incazzarmi. Faccio nove volte il giro, poi parcheggio a castello pure
io. Oh, insomma. Tanto resto poco.
La
coda per entrare inizia già dal parcheggio. Non so se ho mai visto tanta gente
qui dentro. Le mie gambe stanno già tornando verso la macchina, ma so che non
avrò un altro momento libero da qui a mercoledì, tengo duro e respingo il
malessere che mi sta già facendo sudare le ascelle e la nuca.
Composta
e paziente sulla scala mobile, non reagisco nemmeno quando un marcantonio in
canottiera mi spinge di lato per passare: rimango concentrata e zen, salgo
sulla seconda scala mobile, raggiungo la mia destinazione, mollo l’ombrello nel
portaombrelli, entro.
Non
so perché, ma ‘sto posto mi fa stare peggio del solito.
Aspetto
il mio turno per pagare. Davanti a me due tizie tutta plastica (tette labbra
capelli) che non si capisce chi sia la madre e chi la figlia (seh, bonanotte:
si capisce, si capisce) stanno elmettando la cassiera con domande a raffica su
una valanga di prodotti che hanno appoggiato sul bancone. Non convinte dalle
risposte, mollano tutto lì e se ne vanno a mani vuote, mentre una commessa, mesta,
rimette tutto a posto.
Il
mio fastidio aumenta. Inspiro e conto fino a sette, come faccio sott’acqua
quando sento arrivare l’ansia.
Pago,
afferro il mio sacchetto, graziearrivederci, esco dal negozio facendo slalom
tra una quantità di gente impressionante.
Berrei volentieri un caffè, ma non qui. Devo uscire da qui.
Passo
davanti alla vetrina di un megastore, di quelli che ti vendono di tutto, dalla
lavatrice alle vacanze, dove un nugolo di ragazzine sbraita davanti a un
cartello.
Moreno?
Non ho la più pallida idea di chi sia.
Mi
sento fuori luogo, fuori posto, fuori pista, c’è gente ovunque e io sto come i
pazzi, ma perché?
Poi
capisco.
Ci
saranno centinaia di persone, forse migliaia, in questo accidenti di posto. Ma nessuno, dico NESSUNO, regge tra le
mani un sacchetto. Nemmeno uno, uno piccolo, di quelli del negozio di scherzi
che con tre euro una minchiata la compri, così, tanto per.
No.
Niente, nemmeno uno.
Sono
in una cattedrale, Dio è morto e questi qua, i devoti, rimasti con un palmo di
naso si aggirano allibiti senza sapere che fare.
Vecchi seduti sulle panchine,
gli occhi fissi nel nulla. Famiglie intere che leccano gelati e sembrano
guardare le vetrine, ma in realtà non vedono niente. Aspettano che arrivi sera.
Il
sudore mi si gela addosso. Me ne devo andare di qua, prima che qualcuno che
pensava di aver venduto l’anima e di aver fatto pure un buon affare si renda
conto di averla invece regalata e s’incazzi come una bestia.
Un tizio fissa stralunato il mio pacchettino. Lo nascondo in borsa, scendo di corsa le scale senza
guardarmi indietro, spero solo che la macchina sia intera, che nessuno, nella
foga di uscire, abbia fatto la curva stretta e…
La
macchina è lì, senza un graffio.
Salto
su, esco dal parcheggio col cuore che suona la techno nelle tempie.
Diluvia.
E dopo qualche metro, di botto, si appannano tutti i finestrini. Non vedo un
cazzo, sono in una bolla di nebbia; ogni tanto tutto diventa più bianco,
aspetto, incassata nelle spalle, il tuono che non arriva: è un temporale zitto.
Guido a memoria, mi oriento con le luci delle altre macchine e dei semafori,
sparo l’aria sul vetro e apro un po’ il finestrino, ma i vetri restano
appannati mentre io mi infradicio le braghe.
Bestemmio
il Dio morto, quello dello shopping e dei centri commerciali.
Accendo
l’aria condizionata al massimo, ho i brividi, i vetri cominciano a tornare
trasparenti quando sono sotto casa. Parcheggio un po’ distante, ma va bene
così, sono salva.
Spengo
i fari, i tergicristalli, la bufera di neve, la macchina tutta. Acchiappo la borsa, mi giro a
prendere l’ombrel…
Cazzo. L'ho lasciato all'inferno.
Buona
domenica.
8 commenti:
Quanta sofferenza ti tocca affrontare per me! Grazie mio amore! :)
Gli ZOMBI! Era pieno di ZOMBI! O_O
nel film ZOMBIE - quello del 1978 - i morti viventi sono quelli che invadono i centri commerciali: lo shopping dopo la morte.
l'nalisi della percezione , secondo me, è corretta.
claudio di manao
Non so bene quanto questa epidemia possa rivelarsi così infausta come ce l'hanno descritta. In effetti è curioso come queste vittime dell'infezione non si rivelino (per il momento) aggressivi o pericolosi. E' altresì sconcertante che l'epidemia abbia raggiunto quote così alte e che nessuno ne parli.
prof. mirko raffazzi drago
"Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile… quello con la pistola è un uomo morto…" Joe (Clint Eastwood) dal film Per un Pugno di Dolalri di Sergio Leone
Cazzo c'entra? Non lo so, ma mi piaceva così.
Zio Maiale
XD
È come se bastasse la vicinanza della merce con il suo odore a farci sentire più vivi. Il non luogo contemporaneo per consumatori senza consumi...andate pure al centro commerciale a riempire il vostro vuoto. Produci consuma crepa.
È come se bastasse la vicinanza della merce con il suo odore a farci sentire più vivi. Il non luogo contemporaneo per consumatori senza consumi...andate pure al centro commerciale a riempire il vostro vuoto. Produci consuma crepa.
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