domenica 9 giugno 2013

Dio è morto.


Ho da fare un paio di cose prima di uscire. Lo vedo che il cielo bigio non promette un cazzo di buono, che sarebbe più furbo uscire subito, ma conosco la mia pigrizia e so che rimandare significherebbe non fare.
E mi sento brava, a posto con la coscienza, quando, due ore dopo, poso la penna e il mouse, felice di aver postato anche sul blog la storia della scimmia di Tiran (per gli amici non subacquei che non leggono Scubaportal,  ma che si divertono con le mie avventure da abissonauta pasticciona), e di aver finalmente tirato giù lo schema dei capitoli per la seconda stesura del romanzo.
Ovviamente, piove.
Ma io devo proprio uscire: tra pochi giorni sarà il compleanno dell’Omonero e, anche se sono anni che non ci regaliamo più niente preferendo, a ogni ricorrenza, nutrire il porcellino Salvavacanza per poi andarci a godere i soldini da qualche parte nel mondo, un pensierino, una cazzata, un pacchettino simbolico non riesco a non farglielo trovare sul comodino.
A modo mio, sono romantica.


È domenica, mi tocca il centro commerciale. Io odio i centri commerciali, odio il brusio che c’è sempre, il disagio indotto dagli spazi pensati male (o forse benissimo) che ti disorientano e ti rincoglioniscono, così che quando esci non hai comprato una minchia di quello che ti serviva, ma un assortimento di mutande di pizzo che non metterai mai e un set di pentole antiaderenti estremamente utili per una che non cucina manco un uovo. 
Quando arrivi a casa, guardi le cose acquistate come se le vedessi per la prima volta, e se qualcuno ti chiede perché hai comprato venticinque mutande tu dici, poco convinta: “Erano in offerta.”


Ma stavolta so cosa voglio, devo solo entrare in un preciso negozio (non faccio la vaga, ma se scrivo quale negozio poi l’Omonero sgama il regalo!), comprare una precisa cosa e uscire.
“Ce la posso fare.”
Trovare parcheggio tra le auto posteggiate a castello è un incubo, Genova tutta è qui. Ho capito che piove, ma…
Decido di non incazzarmi. Faccio nove volte il giro, poi parcheggio a castello pure io. Oh, insomma. Tanto resto poco.
La coda per entrare inizia già dal parcheggio. Non so se ho mai visto tanta gente qui dentro. Le mie gambe stanno già tornando verso la macchina, ma so che non avrò un altro momento libero da qui a mercoledì, tengo duro e respingo il malessere che mi sta già facendo sudare le ascelle e la nuca.
Composta e paziente sulla scala mobile, non reagisco nemmeno quando un marcantonio in canottiera mi spinge di lato per passare: rimango concentrata e zen, salgo sulla seconda scala mobile, raggiungo la mia destinazione, mollo l’ombrello nel portaombrelli, entro.
Non so perché, ma ‘sto posto mi fa stare peggio del solito.
Aspetto il mio turno per pagare. Davanti a me due tizie tutta plastica (tette labbra capelli) che non si capisce chi sia la madre e chi la figlia (seh, bonanotte: si capisce, si capisce) stanno elmettando la cassiera con domande a raffica su una valanga di prodotti che hanno appoggiato sul bancone. Non convinte dalle risposte, mollano tutto lì e se ne vanno a mani vuote, mentre una commessa, mesta, rimette tutto a posto.


Il mio fastidio aumenta. Inspiro e conto fino a sette, come faccio sott’acqua quando sento arrivare l’ansia.
Pago, afferro il mio sacchetto, graziearrivederci, esco dal negozio facendo slalom tra una quantità di gente impressionante.
Berrei volentieri un caffè, ma non qui. Devo uscire da qui.
Passo davanti alla vetrina di un megastore, di quelli che ti vendono di tutto, dalla lavatrice alle vacanze, dove un nugolo di ragazzine sbraita davanti a un cartello.



Moreno? Non ho la più pallida idea di chi sia.
Mi sento fuori luogo, fuori posto, fuori pista, c’è gente ovunque e io sto come i pazzi, ma perché?
Poi capisco.
Ci saranno centinaia di persone, forse migliaia, in questo accidenti di posto. Ma nessuno, dico NESSUNO, regge tra le mani un sacchetto. Nemmeno uno, uno piccolo, di quelli del negozio di scherzi che con tre euro una minchiata la compri, così, tanto per.
No. Niente, nemmeno uno.

Sono in una cattedrale, Dio è morto e questi qua, i devoti, rimasti con un palmo di naso si aggirano allibiti senza sapere che fare. 




Vecchi seduti sulle panchine, gli occhi fissi nel nulla. Famiglie intere che leccano gelati e sembrano guardare le vetrine, ma in realtà non vedono niente. Aspettano che arrivi sera.


Il sudore mi si gela addosso. Me ne devo andare di qua, prima che qualcuno che pensava di aver venduto l’anima e di aver fatto pure un buon affare si renda conto di averla invece regalata e s’incazzi come una bestia.
Un tizio fissa stralunato il mio pacchettino. Lo nascondo in borsa, scendo di corsa le scale senza guardarmi indietro, spero solo che la macchina sia intera, che nessuno, nella foga di uscire, abbia fatto la curva stretta e…
La macchina è lì, senza un graffio.
Salto su, esco dal parcheggio col cuore che suona la techno nelle tempie.
Diluvia. E dopo qualche metro, di botto, si appannano tutti i finestrini. Non vedo un cazzo, sono in una bolla di nebbia; ogni tanto tutto diventa più bianco, aspetto, incassata nelle spalle, il tuono che non arriva: è un temporale zitto. Guido a memoria, mi oriento con le luci delle altre macchine e dei semafori, sparo l’aria sul vetro e apro un po’ il finestrino, ma i vetri restano appannati mentre io mi infradicio le braghe.
Bestemmio il Dio morto, quello dello shopping e dei centri commerciali.
Accendo l’aria condizionata al massimo, ho i brividi, i vetri cominciano a tornare trasparenti quando sono sotto casa. Parcheggio un po’ distante, ma va bene così, sono salva.
Spengo i fari, i tergicristalli, la bufera di neve, la macchina tutta. Acchiappo la borsa, mi giro a prendere l’ombrel…
Cazzo. L'ho lasciato all'inferno.

Buona domenica.


8 commenti:

Omonero ha detto...

Quanta sofferenza ti tocca affrontare per me! Grazie mio amore! :)

Unknown ha detto...

Gli ZOMBI! Era pieno di ZOMBI! O_O

claudio di manao ha detto...

nel film ZOMBIE - quello del 1978 - i morti viventi sono quelli che invadono i centri commerciali: lo shopping dopo la morte.
l'nalisi della percezione , secondo me, è corretta.


claudio di manao

mirko raffazzi drago ha detto...

Non so bene quanto questa epidemia possa rivelarsi così infausta come ce l'hanno descritta. In effetti è curioso come queste vittime dell'infezione non si rivelino (per il momento) aggressivi o pericolosi. E' altresì sconcertante che l'epidemia abbia raggiunto quote così alte e che nessuno ne parli.

prof. mirko raffazzi drago

Anonimo ha detto...

"Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile… quello con la pistola è un uomo morto…" Joe (Clint Eastwood) dal film Per un Pugno di Dolalri di Sergio Leone
Cazzo c'entra? Non lo so, ma mi piaceva così.
Zio Maiale

Unknown ha detto...

XD

robbi ha detto...

È come se bastasse la vicinanza della merce con il suo odore a farci sentire più vivi. Il non luogo contemporaneo per consumatori senza consumi...andate pure al centro commerciale a riempire il vostro vuoto. Produci consuma crepa.

robbi ha detto...

È come se bastasse la vicinanza della merce con il suo odore a farci sentire più vivi. Il non luogo contemporaneo per consumatori senza consumi...andate pure al centro commerciale a riempire il vostro vuoto. Produci consuma crepa.